LA SEDUTA BREVE
“Sottolineature e tagli di clinica lacaniana”
di GC
P-erché?
Il sintomo esiste, insiste e non si arresta. Sembriamo impotenti ma è più una questione di inedia. Lasciamo che agisca, sempre lo stesso giro, a piccole variazioni, ma sempre lo stesso. Anche quando non fa più per noi o non serve, sembra più forte, domina il campo. Ci accomodiamo sulle sue tracce note, come se non potesse esserci altra via, le gambe sono troppo pesanti per muoversi, per fare un passo di lato.
La sua ferocia a volte ci sorprende e ci sovrasta. Perché? Perché ancora? Perché non posso impedirmi questo calvario? Il sintomo è un vampiro, un vampiro che si nutre del suo stesso sangue. Si fa vittima e carnefice, si fa destino.
Il sintomo parla la nostra lingua e ci mostra una verità di cui non vogliamo sapere, ma troppo reale per essere ignorata. Il corpo fa sempre da prestanome, anche quando è il pensiero ad ammalarsi. Le azioni sono i mezzucci retorici che dominano la scena.
Esiste ed insiste
E-quipe
“Guardami negli occhi: tu devi comprare dei trucchi!” Questo l’imperativo che Giusy riceve dalla sua nutrizionista nell’ultimo incontro. La dottoressa le aveva già detto di vestirsi in maniera più femminile e di truccarsi, ma Giusy non era stata troppo sollecita: “Ci stavo pensando, perché la dottoressa ha ragione, ma ancora non l’ho fatto. Adesso i trucchi li ho comprati, però l’ostacolo è metterli, mi ci vuole un po’”. Non dubitiamo dei sani consigli del medico, né che presto o tardi la ragazza riuscirà a corrispondervi, con buona pace del libero arbitrio.
Di certo ci si aspetta che normalmente un curante, e direi ancor più uno psicologo, vada nella direzione di sostenere la giusta causa volta al recupero di un’identità femminile, che dovrebbe fare da specchio ad un corretto concetto di salute.
L’etica del lavoro a cui cerco di corrispondere, e la delicatezza della situazione che avevo intravisto nel racconto di Giusy, mi avevano invece fatto astenere da interventi direttivi e posto nella necessità di fare da argine a qualsiasi imperativo esterno. La “collega”, comunque, non metteva in discussione il mio operato, né sentiva il suo di ostacolo alla terapia, pensava anzi di collaborarvi! Così, insieme, ognuno per la sua strada. Misteri dell’approccio multidisciplinare.
Uno più uno fa uno
R-esponsabilità
Bisogna saper distinguere tra la psicosi e la stupidità o la stronzaggine. Le seconde non sono automaticamente assimilabili alla prima: si può essere psicotici e stronzi, o nevrotici e codardi. Niente riparo dietro la tendina diagnostica, nessuna finta morale giustificativa.
Sorprende anche quanto il soggetto sia sempre sotto il dominio dell’altro che, a sua insaputa, lo forgia. É fregato, checché se ne dica. Così dobbiamo sperare in un buon incontro. Tra responsabilità e fortuna si rinnova ogni volta la partita, e la si può giocare, eccome se si può, anche se più spesso ci crogioliamo nel nostro stesso brodo.
Non tutti i mali vengono per cuocere, si potrebbe parafrasare.
Food luck!
B-ilancia
Ascolto il racconto dei genitori di una ragazza con disturbi alimentari in merito alle prescrizioni della psicoterapeuta che aveva avuto in cura la figlia: dovevano pesarla ogni giorno e assicurarsi che non scendesse di peso; un altro chilo in meno e avrebbe rischiato il ricovero. A distanza di poco tempo, il peso era diminuito ancora. Ad aumentare era stata solo l’ansia che, ad ogni controllo, andava fuori misura, compromettendo il rapporto tra genitori e figlia, fino ad allora abbastanza sereno.Mentre ascoltavo mi sono ricordata delle parole di un’altra paziente a riguardo della sua psicoterapeuta precedente: “La dottoressa, vedendo che i colloqui non funzionavano, tanto ed ero peggiorata, mi aveva dato questa terapia: la sera mio padre mi pesava e il giorno dopo mia madre mi dava da mangiare a partire dal peso della bilancia. Se ero calata aumentava il pasto, se ero aumentata manteneva la dose precedente”.
E’ passato ancora del tempo e altro ne passerà senza che potremo sperare di vedere riconosciuto nella cura il posto del soggetto, al di là del tanto decantato Io. Non si tratta di ignoranza o di malafede (entrambe le colleghe, in effetti, dopo qualche settimana di insuccessi hanno fatto marcia indietro e inviato il caso), ma degli effetti inarrestabili della spinta autoritaria a cui la nostra epoca, tanto più molteplice e tanto più segregativa, ci costringe.
Contro pratiche analitiche
C-ambiamento
Il taglio dei lunghissimi capelli avviene in un momento in cui la ragazza, che sta attraversando le maglie di una dolorosa perdita simbolica dopo una lunga stasi nel suo percorso di analisi, si autorizza a un cambiamento: “L’importante non era il risultato, ma il fatto di farlo. Quando ho avuto paura che non ci sarei mai riuscita, ho deciso: li taglio”.
La ciocca di capelli, enorme, che il parrucchiere le butta sopra le gambe in segno di scherzo, le fa l’effetto della sua stessa carne morta. La decisione funge da interpretazione après-coup.
Pezzi di reale cadono; l’amore pulsa; possibili invenzioni si aprono; il rischio di ripetizione incombe. C’è ancora bisogno di un morto, in carne ed ossa, perché il significante prenda la sua forma.
Il taglio
D-ivano
“Ho pensato di andare sul divano, non sul lettino, sul divano”. Detto questo si siede su quello che in realtà non è né un vero lettino né un vero divano ma una via di mezzo tra una chaise longue analitica e una paolina d’altri tempi.
Si siede e comincia a parlare, più o meno comoda, più o meno alzando gli occhi. Vago per la stanza, accompagnando con passi discreti le parole che fluiscono in modo diverso da prima quando, sulla sedia, l’immaginario si era messo di traverso. Mi siedo anch’io, un po’ di lato, non del tutto nascosta, senza puntare lo sguardo.
Il mezzo tecnico inventato da Freud, che a lungo è stato il feticcio più significativo dello stile, e anche della stoffa, dell’analista, è passibile di usi impropri forse, ma propriamente singolari. Se c’è qualcosa che oggi salva l’intimità della parola, indispensabile alla produzione analitica, è proprio prestarsi a questo singolare, da reinterpretare ogni volta.
A coté
D-omanda
Durante il primo incontro con i familiari di una donna che non aveva nessuna intenzione di chiedere aiuto, è stato importante attivare una modalità di ascolto che mantenesse il luogo di un analista “supposto sapere”, senza però scivolare nell’occuparne realmente il posto.
Domandare per procura, portando le istanze di un altro che non ne vuole sapere, se per lo più è un modo per togliersi d’impiccio o riversare accuse e colpe, può diventare, a volte, l’occasione per una rettifica della propria posizione, a partire dal riconoscimento di una implicazione con l’altro assente.
Il richiedente può allora riposizionarsi rispetto a una domanda fallace e riformularla. Al di là delle soluzioni che potrà o non potrà trovare nell’immediato. “La lezione è stata chiara!”. “Bene, allora vorrà dire che posso insegnare all’università”.
Così parlò Zarathustra